Recensioni sull'artista Giovanni Pulze

    “La rappresentazione di base è di solito una città, anzi una metropoli, non sempre riconoscibile, affollata di persone immerse nella loro quotidianità, che ricorda allusivamente il film “Metropolis” di Fritz Lang o anche “Tempi moderni” di Charlie Chaplin, il tutto avvolto in un nevischio presente anche nelle giornate di sole: è la tecnica del pittore per attrarre l’attenzione del fruitore a soffermarsi sugli elementi “nascosti” e simbolici del quadro.

    Le persone sono spesso isolate, o a coppie, sotto un ombrello aperto, intente a “dialogare” con un telefonino o uno strumento informatico che assorbe tutta la loro attenzione ed energia. Automobili, tram, autobus, motociclette accompagnano, ove presenti, le persone rappresentate: tutto ciò evidenziato con una tavolozza pittorica ricca di colori intensi e in un clima apparentemente spensierato. Il messaggio però è più sottile: la modernità isola le persone che abbandonano il piacere del comunicare tra loro perché tecnologia, frenesia e superficialità hanno preso il sopravvento nella società. L’ombrello aperto simboleggia una “bolla” nella quale ciascuno di noi vive isolato e completamente avulso e indifferente a ciò che lo circonda e chi riesce ad abbassare l’ombrello - o a chiuderlo - improvvisamente ritrova il piacere di condividere la propria esistenza con gli altri perché esce da quella chiusura egocentrica e solipsistica imposta dalla frenesia della vita moderna.”

    Antonio Cattaruzza


    “Il tema conduttore di tutti i quadri è quello dell’Angelo metropolitano, da intendersi come ponte di raccordo tra il mondo del silenzio e quello della parola, cioè di un dialogo a volte impossibile tra l’affermazione egoista del sé e le esigenze di una comunità o di una natura prostrata dall’onnivora attività predatoria operata dall’uomo. A far da fondale a questo Angelo è una città frenetica dove le persone passano di fretta, le automobili sfrecciano, le insegne luminose e i cartelloni pubblicitari abbacinano.

    In definitiva un messaggio sull’incomunicabilità, sulla mancanza di dialogo e sulla propensione alla solitudine. Angelo e folla sono privi di volto dettagliato, mancano cioè quei tratti fisionomici che li renderebbero riconoscibili e proprio nel loro essere anonimi diventano campioni di un messaggio universale, diventando rete connessa a livello sovranazionale. Così ci viene da concludere: i nuovi alienati di tutto il mondo, pur uniti

    dalle pagine Facebook, dal pianeta Instagram, dai video postati su TikTok e così via, si connettono e dialogano in rete solo per creare una finzione, per operare una dissimulazione, per fingere di vivere, dato che il livello di una coscienza consapevole sono ben lungi dall’averlo toccato.”

    Roberto Vidali


    “Giovanni Pulze intraprende la sua vicenda chiara e rettilinea di pittore fra il nono e il decimo del ‘900, in un momento in cui, mentre si estranea dalla vita artistica e sociale dell’Italia l’espressionismo, trionfano gli aspetti più deteriori e didascalici del simbolismo e dell’astrattismo, le perigliose svenevolezze di un decadentismo che mina ed avvilisce in cattiva letteratura la pur originale e vitale visione del concettuale. Giovanni Pulze non ha

    scritto la Metropoli o la post-metropoli di G. Simmel, la scorge nell’esaurirsi della visione che comunque non oltrepassa. La sua pittura si esaurisce con l’esaurirsi della visione dell’immagine metropolitana e rimane sotto il suo primato. G. P. dipinge, infatti, ciò “che vede”, ma non riesce a negare l’evidenza di quello che vede. Se si fosse distolto dall’omaggio all’icasticità avrebbe invece dipinto senza vedere. In un’astrazione. Perciò la sua esperienza rimane mediale. Mediale, raccolta di formule iconografiche, rilegatura della realtà.”

    Gabriele Perretta