Recensioni sull'artista Alessandro Cadamuro

    CRISTINA PALMIERI Novembre 2020

    Alessandro Cadamuro si accosta precocemente all’arte, nel contesto di una Venezia ricca di fermenti e presenze importanti. Conosce Vedova, suo maestro in Accademia, Santomaso, Zotti, Pirro, di cui frequenta lo studio e che lo presenta a Peggy Guggenheim. Della nota mecenate, incontrata proprio pochi mesi prima della sua morte, custodisce un ricordo significativo, che ogni volta rinnova l’emozione dell’ interesse dimostrato da una delle più grandi collezioniste d’arte per il proprio lavoro.

    Il percorso artistico di Cadamuro potrebbe essere letto come una lenta, ma costante, evoluzione da una narrazione della realtà resa metafora - ma ancora raccontata - al simbolo puro.

    Esiste una dimensione, quella poetica, la quale costituisce uno spazio che abita e si anima dentro di noi, egualmente vero come lo spazio misurabile del mondo esterno. Coglierla, decifrarla ed enunciarla - in quell’atto cognitivo e creativo che è la rivelazione – comporta il completo abbandono alle immagini che giungono dall’interno, nel tentativo di dar voce al segreto pulsante svincolato dai luoghi comuni, dalla consueta organizzazione del vero. I più la rifuggono, cercando di circoscrivere il reale entro schemi e modelli preordinati, per non farsi soverchiare dal mistero che lo abita e che sempre ci sfugge. Alessandro Cadamuro si propone, invece, attraverso le proprie opere, il compito di liberare il percepito dal luogo al quale la razionalità lo ha relegato, misurandolo ed analizzandolo solamente attraverso la logica, non consentendo mai di pervenirne all’ essenza. L’universo, per l’artista, non può che essere quel tempio baudleriano che parla attraverso “confuse parole”, per simboli.

    La sua poetica matura sulla base di una tradizione, quella della lavorazione del vetro, che è parte della storia della città in cui nasce e cresce, ma – soprattutto – di quella personale e familiare. Il padre, infatti, era proprietario di una fornace a Murano. L’accostarsi all’arte non può prescindere da questa esperienza, così profondamente parte del suo mondo immaginativo. Già da bimbo è attratto dalla magia alchemica della lavorazione del vetro, del suo nascere incredibilmente dalla fusione di miscele di silice, come quarzo e sabbia, e di carbonati metallici, dalla varietà e tipologie di questo composto. Ama aggirarsi nella fornace, fra gli ossidi metallici per ottenere i vetri colorati, fra i crogioli di alluminio e i forni gas. Qui già allora va alla ricerca degli scarti, i famosi cotissi, che raccoglie come preziosi reperti.

    All’amore per il vetro si affianca la passione per la parola, per il verso, per la poesia. In gioventù, parallelamente alla frequentazione dell’Accademia, si relaziona con gli ambienti della Neoavanguardia. In questi contesti si sviluppano le ricerche verbo-visuali, indirizzate a sviscerare i possibili sviluppi dell’intreccio fra arte e cultura. Caldamuro giunge così ad elaborare un personale modo di declinare le indagini linguistiche ed estetiche che ipotizzano possibili commistioni fra arti visive e letteratura. Inizia ad incidere su lastre di vetro lineare versi poetici, affioramenti della memoria su uno spazio quasi liquido e dilatato, abbacinato e abbacinante nella propria trasparenza riflettente, immenso come un cielo saturo di luce cangiante, sul quale un diamante graffia una raffinata scrittura. Versi che - oltre al senso concreto - assumono uno statuto decorativo, come fossero una traccia cadenzata, una favilla dell’anima. Il gesto, mentre imprime il segno sulla superficie, è infatti teso nella rapidità di un ritmo corsivo.

    Nel tempo Alessandro formula nuove riflessioni sul senso dell’utilizzo del materiale che elegge a medium, ma, soprattutto, perviene ad una differente concettualizzazione riguardo alla parola. Sceglie di prescindere da una comunicazione diretta e compiuta, ancora connessa ad una logica ermeneutica, per approdare all’uso del segno puro, libero, che vive di allusività, nel suo rimando sintetico a quanto ci circonda. Nell’abisso delle infinite possibilità comunicative, concepisce una “scrittura” attraverso la frantumazione della medesima, servendosi solo dei significanti, quasi a testimoniare che unicamente a partire dalla “catastrofe” del senso compiuto si può disvelare la natura cangiante e mutevole delle cose e degli enti. Il linguaggio codificato è avvertito più come un limite, un’inutile confine e barriera fra se stessi e il mondo, fra l’essere e l’esistenza. Lo spazio della superficie viene così investito da una proliferazione di affioramenti segnici; si espandono e si coagulano, si concentrano e si disseminano, generando un’accattivante vertigine di euritmie grafiche. Le lastre di vetro sono sempre incise da ambo i lati e recano tutta una serie di caratteri che divengono per l’artista – come egli stesso mi spiega – una sorta di scrittura automatica. Come tale essa si carica, nella viva gestualità, dei tumulti inespressi dell’inconscio, di nessi e significazioni in apparenza casuali, forse, in realtà, semplicemente trascrizione di una tensione assoluta e di pulsioni altrimenti indicibili.

    Nel medesimo tempo Cadamuro avverte sempre più viva l’urgenza di costruire un peculiare universo simbolico, in grado di investire le proprie opere di un’ulteriorità di sensi e di letture che le affranchi da una modalità diretta ed univoca di significare, quindi da un’immediatezza della possibile interpretazione. Già agli albori degli anni Novanta si palesa il senso della sua ricerca.

    L’artista diventa un demiurgo capace di contaminare differenti linguaggi, in una sperimentazione che conduce a vivere l’espressione artistica come un’esperienza multisensoriale (vedremo come questo sia ancor più tangibile nelle performance). Il punto di partenza è la consapevolezza che ogni materiale – il vetro in primis – serbi in sé un potenziale espressivo, anche qualora venga utilizzato con finalità ben differenti da quelle per il quale è stato creato. Un atteggiamento in parte debitore nei confronti delle poetiche dadaiste e del “Nouveau Réalisme”, ma indubbiamente capace di spingersi oltre. E’ pregnante creare opere che rappresentino sempre un sorprendente iter di scoperta per chi si pone di fronte ad esse e le osserva, come se si immergesse in uno sbalorditivo paese dei balocchi, in cui però il fine non

    è solo il piacere visivo ed estetico, il divertissement, bensì la possibilità di cogliere un messaggio, di definire ed interpretare. Ma l’esegesi non può che essere un viaggio che l’osservatore compie attingendo all’enciclopedia del proprio “sapere il mondo” e del proprio sentire.

    In questo modo dobbiamo leggere i “Poeglass”, sculture in vetro differentemente assemblate, con forme ogni volta diverse, nelle quali vengono inclusi oggetti di molteplici generi. Dai rottami vari (cesti di lavatrici, meccanismi di diversa natura, pezzi di motori) delle macinatrici di vetro, alle trappole per topi, ai mozziconi di sigari toscani, ai tubi in gomma, alle pietre, ai cotissi, a svariate schegge di vetro, colorate e trasparenti, ai piani costruiti sempre a partire da lastre del medesimo materiale che vanno talvolta a costruire, all’interno della scultura, labirinti chiusi, senza ingresso né uscita, poiché la strada non è mai facile da trovare. Anzi, forse non è mai rinvenibile. Vi sono poi le lettere e i numeri colorati, gli occhi vitrei, gli insetti, tutti generalmente costruiti dall’artista tramite resine colate. Sono inseriti in modo da essere talvolta bloccati, altre volte liberi di fluttuare nello spazio, che rappresenta una sorta di universo liquido. Oggetti che diventano memento, tracce di vita, frammenti di un tempo che tutto consuma e tutto usura – relegandolo a scarto - e che Cadamuro cerca invece di riscattare, investendolo di significati allegorici, comprendendo che l’arte è insieme produzione, transitività, sintetica espressione dell’indicibile. Inteso in questa accezione, il linguaggio artistico è intraducibile, poiché non serve a veicolare un mondo già conosciuto; piuttosto vive di quell’eccedenza di senso che lo rende “simbolo”, quindi connessione al mistero.

    Cadamuro è consapevole che il “garbage” (rifiuto) rappresenti un’espressione del nostro tempo, forse la più pregnante. In realtà quanto lo conduce a questa sua peculiare produzione, per la quale si serve – oltre che del vetro – di altri materiali trasparenti, quali le resine, il plexiglass, è anche l’interesse per la luce. La peculiarità delle sue sculture – piramidi, stele, obelischi, torri - è quella di essere cangianti, di mutare e trasmettere differenti percezioni di sé a seconda del punto di osservazione, della collocazione nello spazio, della diversa illuminazione che le colpisce. La sperimentazione è tesa a valorizzare queste potenzialità nascoste nella materia adoperata, quasi che l’artista attraverso la composizione delle lastre, la creazione dei differenti piani interni, volesse ricreare la magia rifrangente e iridescente dell’acqua e del mare che lo ha sempre circondato, nonché il perenne divenire in cui ogni cosa è immersa, che tutto muta e trasmuta, testimoniando che nulla è dato per sempre.

    Nella tridimensionalità, nonché nella possibilità di includere, di farsi contenitori, - quasi fossero, come egli stesso dichiara, “capsule di vita” - i suoi lavori divengono simulacri, feticci totemici, dispositivi allegorici che inducono a valutare la possibile alterità di ogni oggetto, nel suo essere e nel suo apparire. Non esiste un loro “significato”, perché sono portatori di allusioni ed illusioni che rinviano continuamente ad altro. L’operazione che Cadamuro compie è perciò immersa nel terreno dell’ambiguità, ovvero della fantasia e dell’immaginazione, dell’addentrarsi nel proprio inconscio. Accostarsi alle sue opere significa cogliere la complessità di ogni esperienza, cimentarsi in un confronto con la realtà non limitata alla sembianza. Queste vetrosculture divengono oggetti paradossali, che nel momento in cui paiono ammiccare e stregarci con la piacevolezza estetica, con un’apparenza ludica, con la meravigliosa trasparenza cangiante e l’apparente fragilità, nel medesimo istante ci obbligano ad una riflessione sul contemporaneo e sulla società. Per intuirne il significato è necessitante ribaltare i luoghi comuni, perché Cadamuro libera il ricorrente senso percettivo, fortemente connesso all’estetica, a favore di un rapporto dialettico tra cultura e società, attraverso creazioni stravaganti ed estrose, che imitano la decoratività dei consumi ma ne rifuggono la sostanza. La ragione artistica si ripiega e interroga se stessa sino alla radice; in questo modo non può che confliggere con i consueti sistemi di creazione del senso e di decodificazione. Lungo il concetto indiretto prodotto dall’arte, che si fa simbolo, si crea un percorso di “sovrasignificazione”, perché è nel carattere proprio dell’arte contemporanea aprirsi a sensi secondi, a sensi paralinguistici, connotazioni che si espongono ad ineffabili contraddizioni se lette tramite la lente della comune codificazione. Pensiamo ad esempio ai “glass-mobile”, forme trapezioidali o triangolari dotate di ruote per poter girare su se stesse. Talune hanno però le ruote disposte in direzione opposta, centripete, così da essere in realtà impedite nel loro movimento. Contraddizione, forse fatale scherzo ironico del destino. Tutto questo è parte del linguaggio di Cadamuro, il quale cerca di conferire poesia ed ironia a quanto invece non ne ha. Sempre fedele all’elezione del vetro quale materiale principe con cui creare le proprie opere, Alessandro si accosta sin dagli esordi anche all’arte performativa, con ricerche che si focalizzano sulla commistione di arte, suono e parola. In primis cerca di comprendere come poter amplificare – attraverso testine magnetiche - il suono che produce l’atto del graffiare il vetro. Nasce quello che egli definisce “Vetrofono”, sulla scorta della filosofia che sottende a strumenti quali lo xilofono. La traccia del segno diviene, nel medesimo istante, simbolo allusivo e suono che si invera quale voce della materia viva che racconta il proprio essere “ferita”, per farsi supporto narrativo. L’artista diviene un regista che entra in prima persona nell’opera, nel proprio agire nel tempo e nello spazio della rappresentazione. Una rappresentazione strutturata alla stregua di un evento che diviene fisico e contingente, una sorta di “teatro del possibile” a cui partecipano talvolta anche altri attori. Dal soprano che accompagna con il proprio canto le azioni dell’artista, alle modelle nude inserite nelle sculture, al vetro stesso che si frantuma, per differenti ragioni o in seguito a diverse tipologie di azioni, alle lamine sospese che producono un suono stimolate da ventilatori che riproducono l’azione del vento (cfr. performance “The wind of glass”). Quanto conta, in tutti questi atti performativi, è ancora una volta il divenire, la trasformazione, anche del senso dell’opera e della narrazione medesima. Alessandro Cadamuro dà vita ad operazioni mitopoietiche le quali rivelano il gusto per una stratificazione successiva di significanti in grado di moltiplicare le interpretazioni possibili, le prospettive del reale, pur immaginario o traslitterato. Lo scacco alle aspettative si traduce in innesco di ragionamento: sul vedere, sul fare, sull’artificiale, sul naturale, sulla comunicazione, sulla sostanza delle cose e della vita. E’ nell’ambito dello spaesamento e dello straniamento, dell’apparente illeggibilità, della contraddizione, talvolta anche della trasgressione, che va riconosciuta e letta l’opera di Cadamuro, un deus ex machina capace di tradurre tradurre il proprio curiosare disincantato nelle relazioni quasi inconsce che paiono accostare i suoi oggetti, fra inquietudine e dimensione ludica, fra riconoscimenti ancestrali e profondi misteri; in definitiva uno scandagliare la sostanza medesima della vita.

    CRISTINA PALMIERI Novembre 2020


    CRISTINA PALMIERI November 2020

    Alessandro Cadamuro approaches art early, in the context of a Venice rich in activities and important presences. He meets Vedova, his teacher at the Academy, Santomaso, Zotti and Pirro, whose studio he attends and who introduces him to Peggy Guggenheim. Of the well- known patron, met just a few months before her death, he holds a significant memory, which each time renews the emotion of the interest shown in his own work by one of the greatest art collectors. Cadamuro’s artistic path could be read as a slow but constant evolution from a narration of reality made a metaphor - but still described - to a pure symbol.

    There is a dimension, the poetic one, which constitutes a space that inhabits and animates within us, equally true as the measurable space of the external world. Grasping it, deciphering it and enunciating it - in that cognitive and creative act that is the revelation - involves the complete abandonment to the images that come from within, in an attempt to give voice to the pulsating secret released from clichés, from the usual organization of truth. Most people flee from it, trying to circumscribe reality within preordained patterns and models, so as not to be overwhelmed by the mystery that inhabits it and that always eludes us. Alessandro Cadamuro instead proposes, through his works, the task of freeing the perceived from the place to which rationality has relegated it, measuring and analyzing it only through logic, never allowing it to reach its essence. The universe, for the artist, can only be that Baudelairian temple that speaks through “confused words”, through symbols.

    His poetics matures on the basis of a tradition, that of glass processing, which is part of the history of the city in which he was born and grew up, but - above all - of that personal and family one. The father, in fact, was the owner of a furnace in Murano. His approach to art cannot ignore this experience, which is so deeply part of his imaginative world. Already as a child he was attracted by the alchemical magic of glass processing, of its incredibly generation from the fusion of silica mixtures, such as quartz and sand, and metal carbonates, by the variety and types of this compound. He loves wandering around the furnace, among the metal oxides to obtain colored glass, among the aluminum crucibles and the gas ovens. Here, even then, he goes in search of scraps, the famous “cotissi”, which he collects as precious findings.

    The love for glass is accompanied by a passion for words, for verse, for poetry. In his youth, in parallel with attending the Academy, he is surrounded by the Neo-avant-garde atmosphere. In these contexts, verbal-visual research is developed, aimed at dissecting the possible developments of the intertwining between art and culture. Caldamuro thus comes to develop a personal way of interpreting linguistic and aesthetic investigations that hypothesize possible commingling between visual arts and literature. He begins to engrave poetic verses on sheets of linear glass, outcrops of memory on an almost liquid and dilated space, dazzled and dazzling in its reflective transparency, immense like a sky saturated with iridescent light, on which a diamond scratches a refined writing. Verses that - in addition to the concrete meaning - take on a decorative status, as if they were a cadenced trace, a spark of the soul. The gesture, while impressing the sign on the surface, is in fact tense in the rapidity of a cursive rhythm.

    Over time, Alessandro formulates new reflections on the meaning of using the material he elects as a medium, but, above all, he arrives at a different conceptualization regarding the word. He chooses to disregard direct and complete communication, still connected to a hermeneutic logic, to arrive at the use of the pure, free sign, which thrives on allusiveness, in its synthetic reference to what surrounds us. In the abyss of infinite communication possibilities, he conceives a “writing” by breaking it down, using only the signifiers, as if to testify that only starting from the “catastrophe” of the complete meaning, the changing and mutable nature of things and entities can be unveiled. Coded language is perceived more as a limit, a useless border and barrier between oneself and the world, between being and existence. The space of the surface is thus invested by a proliferation of sprouting of the signs; they expand and coagulate, concentrate and disseminate, generating a captivating vertigo of graphic melodies. The glass sheets are always engraved on both sides and present a whole series of characters that become for the artist - as he himself explains - a sort of automatic writing. As such, writing is charged, in lively gestures, with the unexpressed turmoil of the unconscious, with apparently casual connections and meanings, perhaps, in reality, simply the transcription of an absolute tension and otherwise unspeakable impulses.

    At the same time Cadamuro feels the urgent need to build a peculiar symbolic universe, capable of elevating its works with a supplement of senses and readings that free them from a direct and univocal way of meaning, therefore from a straightforward possible interpretation. Already at the dawn of the nineties the meaning of his research was revealed. The artist becomes a demiurge capable of contaminating different languages, in an experimentation that leads to experiencing artistic expression as a multisensory experience (we will see how this is even more tangible in his performances). The starting point is the awareness that every material - glass in the first place - has an intrinsic expressive potential, even if it is used for purposes very different from those for which it was created.

    An attitude partially inherited by Dadaist poetics and the “Nouveau Réalisme”, but undoubtedly capable of going further. It is meaningful to create works that always represent a surprising process of discovery for those who stand in front of them and observe them, as if immersed in a stunning land of toys, in which, however, the aim is not only visual and aesthetic pleasure, divertissement, but the possibility of getting a message, defining and interpreting them. But exegesis can only be a journey that the observer makes by drawing on the encyclopedia of his “knowing the world” and his own feelings.

    In this way we have to read the “Poeglass”, glass sculptures assembled differently, with different shapes each time, in which objects of multiple kinds are included. From various debris (washing machine baskets, mechanisms of different nature, pieces of engines) of glass grinders, to mousetraps, to butts of Tuscan cigars, to rubber pipes, to stones, to “cotissi”, to various glass splinters, colored and transparent, to the sheets built always starting from slabs of the same material that sometimes build, inside the sculpture, closed labyrinths, with no entrance or exit, since the road is never easy to find. Indeed, perhaps it is never to be found. Then there are the colored letters and numbers, the glass eyes, the insects, all generally constructed by the artist using cast resins. They are inserted in such a way that they are sometimes blocked, other times free to float in space, which represents a sort of liquid universe. Objects that become mementoes, traces of life, fragments of a time that consumes everything and wears everything out - relegating it to waste - and that

    Cadamuro instead tries to redeem, investing it with allegorical meanings, understanding that art is at the same time production, transitivity, synthetic expression of the unspeakable. In this sense, artistic language is impossible to translate, since it does not convey an already known world; rather it lives on that excess of meaning that makes it a “symbol”, therefore a connection to the mystery.

    Cadamuro is aware that “garbage” (refusal) represents an expression of our time, perhaps the most meaningful. Actually, what leads him to this peculiar production, for which he uses - in addition to glass - other transparent materials, such as resins, plexiglass, is also his interest in light. The peculiarity of his sculptures - pyramids, steles, obelisks, towers - is that of being iridescent, of changing and transmitting different perceptions according to the point of observation, the location in space, the different lighting that strikes them. The experimentation is aimed at enhancing these potentialities hidden in the material used, as if the artist, through the composition of the slabs, the creation of the different internal levels, wanted to recreate the reflecting and iridescent magic of the water and the sea that has always surrounded him, as well as the perennial becoming in which everything is immersed, which changes and transmutes everything, testifying that nothing is given forever.

    In the three-dimensionality, as well as in the possibility of including, of becoming containers, - as if they were, as he himself declares, “capsules of life” - his works become simulacra, totemic fetishes, allegorical devices that lead to evaluate the possible otherness of each object, in its being and in its appearing. They do not have an “own meaning”, because they are bearers of allusions and illusions that continually refer to something else. The operation that Cadamuro performs is therefore immersed in the field of ambiguity, or rather of fantasy and imagination, of going into one’s own unconscious. Approaching his works means grasping the complexity of each experience, engaging in a confrontation with reality that is not limited to appearance. These glass sculptures become paradoxical objects, which when they seem to wink and bewitch us with aesthetic pleasantness, with a playful appearance, with the wonderful iridescent transparency and apparent fragility, at the same moment they force us to reflect on the contemporary worlds and on society. To understand their meaning, it is necessary to overturn commonplaces, because Cadamuro frees the recurring sense of perception, strongly connected to aesthetics, in favor of a dialectical relationship between culture and society, through extravagant and whimsical creations, which imitate the decorativeness of consumption but shun substance. Arts folds and questions itself to the very root; in this way it cannot but conflict with the usual systems of creation of meaning and decoding. Along the indirect concept produced by art, which becomes a symbol, a path of “supersignification” is created, because it is in the character of contemporary art to open up to second senses, to paralinguistic senses, connotations that expose themselves to ineffable contradictions if read through the lens of common codification. Let’s think, for example, of “glass-mobile”, trapezoidal or triangular shapes equipped with wheels to be able to turn on themselves. Some, however, have the wheels arranged in opposite directions, centripetal, so they are actually impeded in their movement.

    Contradiction, perhaps a fatal ironic twist of fate. All this is part of the language of Cadamuro, who tries to give poetry and irony to objects that have none.

    Always faithful to the choice of glass as the main material with which to create his works, Alessandro has also approached performing art right from the start, with research that focuses on the mixture of art, sound and word. First of all, he tries to understand how to amplify - through magnetic heads - the sound produced by the act of scratching the glass. What he defines as a “Vetrofono” is born, on the basis of the philosophy including instruments such as the xylophone. The trace of the sign becomes, in the same instant, an allusive symbol and a sound that comes true as the voice of the living material that tells its own being “wounded”, to become narrative support. The artist becomes a director who enters in his work personally, with his own actions in the time and space of the representation.

    A representation structured as an event that becomes physical and contingent, a sort of “theater of the possible” in which sometimes other actors also participate. From the soprano who accompanies the artist’s actions with her song, to the nude models inserted in the sculptures, to the glass itself that shatters, for different reasons or as a result of different types of actions, to the suspended sheets that produce a sound stimulated by fans which reproduce the action of the wind (see performance “The wind of glass”). What counts, in all these performing acts, is once again the becoming, the transformation, even of the meaning of the work and of the narrative itself. Alessandro Cadamuro gives life to mythopoetic operations which reveal the taste for a subsequent stratification of signifiers capable of multiplying the possible interpretations, the perspectives of the real, even if imaginary or transliterated. Failure to meet expectations translates into a trigger for reasoning: on seeing, on doing, on the artificial, on the natural, on communication, on the substance of things and of life. It is in the context of disorientation and estrangement, of the apparent illegibility, of contradiction, sometimes even of transgression, that the work of Cadamuro must be recognized and read. A deus ex machina capable of translating his disenchanted snooping into almost unconscious connections that seem to approach his objects, between restlessness and a playful dimension, between ancestral recognitions and profound mysteries; ultimately a probing of the very substance of life.

    CRISTINA PALMIERI November 2020